Sull’onda delle critiche dei giorni scorsi è stata modificata dalla Commissione Bilancio la proposta di emendamento alla Legge di Stabiltà nota come Web Tax. Il Corriere titola “Vittoria di Renzi sulla web tax” e io piango il fatto che in Italia la politica, specie quella economica, sia diventata un gioco di slogan.
La proposta, nel suo nucleo, rimane infatti un tentativo maldestro di aggirare le norme comunitarie in materia di IVA con il malcelato scopo di assoggettare i redditi dei grandi operatori di servizi in rete al fisco italiano. Grande confusione gira tra chi legifera ma anche tra chi promuove o boccia la proposta di legge.
La necessità di un quadro normativo europeo più preciso rimane. La soluzione italiana è invece un pasticciaccio brutto.
L’IVA infatti non è una imposta sul reddito bensì una imposta sul consumo e come tale sarebbe dovuta nel luogo dove avviene il consumo. Essa incide sul prezzo finale sostenuto dal consumatore e quindi sarebbe necessario che prodotti e servizi presenti su un mercato (nazionale) ricevessero identico trattamento fiscale al fine di evitare distorsioni di prezzi a favore di alcuni operatori (leggi: chi vende dall’estero).
Un esempio potrà essere utile: un prodotto che costa 100 Euro viene messo in vendita da un commerciante assoggettato a IVA: il costo per il consumatore sarà 122 Euro. Il consumatore, potendo, acquisterà da un venditore che, non dovendo versare l’IVA, potrà lasciare il costo a 100 a parità di guadagno.
Il principio di destinazione
L’IVA deve essere versata dove avviene il consumo. E, infatti, ciò che già avviene secondo normativa vigente, per prodotti consumati in Italia . Nella propaganda pro e contro Web Tax ho letto anche che sarebbe stata contro Amazon. Amazon versa già IVA in Italia per la vendita di prodotti. Se avete una fattura o ricevuta Amazon potrete trovarci sopra P.IVA del rappresentante fiscale in Italia. E’ sufficiente consultare queste pagine per comprendere la fiscalità degli acquisti su Amazon: http://www.amazon.it/gp/help/customer/display.html?nodeId=201242460 e http://www.amazon.it/gp/help/customer/display.html/ref=hp_left_cn?ie=UTF8&nodeId=200556990
il problema con la tassazione dei servizi
Il corretto principio “di destinazione” non è però applicato per la vendita di servizi cioè di tutti quei beni immateriali per cui è difficile (se non impossibile o inapplicabile) tenere traccia di spostamenti e superamento di confini nazionali. Grazie a internet però è oggi possibile vendere con estrema facilità servizi oltre i confini nazionali: hosting, software, musica ma anche ebook sono prodotti immateriali che tutti possiamo acquistare online.
La “nuvola” sta progressivamente dematerializzando quelli che un tempo erano prodotti (libri, computer, ecc) che varcavano frontiere e dogane, trasformandoli in servizi
Per l’imposizione di IVA su servizi fruiti da un consumatore finale (tecnicamente ‘soggetti non passivi’) secondo le direttive UE è considerato luogo della prestazione il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività. In altre parole se acquistate software da Apple voi pagherete IVA all’Irlanda dove ha sede Apple.
Le considerazioni precedentemente svolte riguardo alla distorsione della concorrenza nei prezzi tra venditori assoggettati a differenti regimi IVA è valida per i servizi (o beni immateriali) i così come per le merci (o prodotti tangibili, da spedire in un pacco).
Così pure non si comprende perché l’Italia debba trarre gettito fiscale dal consumo sul proprio territorio di scarpe, telefoni, frigoriferi ma debba rinunciare a favore di qualche altro Stato il suo gettito su consumo di beni immateriali effettivamente goduti sul territorio italiano.
Nonostante queste premesse sono contrario alla cosiddetta Web Tax: una brutta soluzione a un problema esistente.
Continua…
Prosegui nella lettura di Web Tax. Pasticcio Italia. 2 – Tassa sui redditi o sui consumi?