L’avvento dei social network, basati sulla identità reale degli utenti (primo fra tutti Facebook), apre una ampia gamma di spunti di riflessione sui confini tra profilo identitario reale e virtuale; sulla percezione della propria immagine individuale dentro e fuori dalla rete; on-line e off-line.
Sul tema sono già in corso notevoli discussioni. Gli spunti più interessanti in italiano li ho trovati sul blog di Stefano Epifani docente presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Roma La Sapienza.
La discussione è pubblica. Persistente. Ricercabile.
Stimolo a questo post è stata la discussione, promossa da gattonero su FriendFeed dal titolo “A quanti si permettono di giudicare me come persona SUL LAVORO basandosi solo su quello che credono di aver visto di me in Rete, vorrei far vedere come lavoro e che tipo di rapporti ho coi miei colleghi. Per poi vederli con la coda fra le gambe, e godere.”
Come ho sostenuto nel thread, se da una parte sono solidale con lui, dall’altra non posso che constatare la facilità con cui è possibile ormai raccogliere, in poco tempo, tanti frammenti di identità in rete, ricomporli sommariamente e associarli a una identità reale, a una persona fisica.
Barbara Arianna Ripepi (aka ☥Suzupearl) scrive che “da sempre, da che esiste la scrittura, si scrive solo una parte di noi stessi: a volte quella che ci stimola di più, a volte la più problematica“, associando quindi i moderni strumenti di interazione sociale a qualsiasi precedente forma di rappresentazione scritta. Niente di nuovo quindi dai social network? Non sono d’accordo.
Internet è pubblico. Internet è ricercabile. Qui risiede la differenza tra scrivere sul web e scrivere una lettera o pubblicare un libro. Una lettera dovrebbe rimanere privata. Per trovare una frase su un libro (ammesso che te lo pubblichino), devo recarmi in libreria, acquistarlo e presumibilmente leggerne gran parte. Su internet bastano Google e una combinazione di parole chiave.
Scripta manent: se gattonero scrive su FriendFeed che si vorrebbe “fare un bel ragazzo alto, dal bel fisico e con un cazzone” deve essere conscio che se lo avesse detto sulla “pietra ringadora“, il pulpito su cui chiunque poteva salire in piazza a Modena per arringare il popolo coi suoi sproloqui, avrebbe avuto meno risonanza. L’affermazione sarebbe stata pubblica ma, almeno, sarebbe stata volante.
Questa frase, invece, rimarrà impressa nelle memorie dei motori di ricerca, duplicata in cache di server, quotata da altri, potenziata nel ranking se ritenuta interessante da qualcuno, rimbalzata a tempo indeterminato. E potrà tornare fuori, miracoli delle SERP e delle long-tail di parole chiave, ogni qualvolta verrà effettuata la giusta ricerca. Io stesso, con questo articolo, sono coautore del misfatto.
Identità multiple
Come nella vita reale possiamo essere, differentemente, seri professionisti, amanti, tifosi di una squadra, sportivi, amici o goliardi così in rete possiamo presentarci diversamente a seconda del contesto virtuale in cui ci troviamo. Anzi, la rete amplifica questa capacità di esternare i singoli aspetti della nostra personalità attraverso network e comunità virtuali tematiche. La rete può anche andare oltre, consentendo di crearci “alter-ego” virtuali come nel caso di SecondLife.
Così possiamo definirci persone “che amano l’understatement” su un blog e vociferare in maniera piuttosto rumorosa dei propri gusti e appetiti sessuali su un altro. Senza per questo essere affetti da schizofrenia e sdoppiamento della personalità. Gattonero stesso, su uno dei suoi due blog, osserva come la sua analisi di un evento – la BlogFest – sarebbe differente in quattro differenti luoghi di socialità virtuale che frequenta.
Riaggregazione
La presunta frammentazione e dispersione di identità virtuali / reali viene a cessare nel momento stesso in cui, attraverso fili più o meno espliciti, questi molteplici aspetti vengono riaggregati.
FriendFeed, ad esempio, riaggrega in un unico stream tutto quanto facciamo, diciamo, ci piace in rete. Così, anche operando sotto pseudonimo in un luogo, consentiamo di riassociare a un nome e cognome tutti i nostri profili identitari.
Ma anche altre tracce possono essere lasciate. Email di registrazione ai servizi, amici comuni, collegamenti tra account di servizi in rete possono aiutare a ricomporre il puzzle. Motori di ricerca ma anche servizi specifici come 123people riaggregano tutte le informazioni, foto comprese, associandole a una persona fisica.
Cortocircuiti identitari
E’ in questo contesto di riaggregazione e non nel singolo social network che si determina quel processo che Epifani chiama cortocircuitazione identitaria per cui “studenti accedono ai profili dei propri professori, datori di lavoro dei propri dipendenti, mamme dei loro figli e delle loro figlie” e in cui “l’autore rischia di sovraesporsi, se non ha la consapevolezza della scomparsa di quelle barriere che prima dividevano i diversi universi nei quali normalmente ci muoviamo.”
Giudizi emotivi.
I nostri giudizi rimangono spesso di tipo emotivo. Un vecchio detto diceva che tra gentiluomini non bisognerebbe mai parlare di religione. Oggi, in Italia, forse neppure di politica.
Per quanto cerchi di essere oggettivo so che il mio giudizio può essere biased da informazioni estranee all’ambito della discussione. E so che questo vale anche per gli altri, nei miei confronti. A volte ho preferito quindi non sapere e non far sapere.
Fare una ricerca sul web relativa a una persona di cui desideriamo sapere di più è un atto abbastanza scontato nell’era del Society of the Query. Abbastanza scontato (anche se forse non oggettivamente corretto) farci influenzare dai risultati.
E’ preferibile non sapere per preservare l’ambiente sterile di osservazione? D’altra parte ho felicemente scelto una mia collaboratrice perché aveva un blog fotografico con immagini che mi hanno molto colpito. Molto più di qualsiasi curriculum.
Mutazioni culturali
Su FriendFeed ho azzardato un parallelismo con il romanzo di fantascienza “La luce del passato” (ma vedo che non sono l’unico) per affermare che siamo probabilmente all’inizio di una rivoluzione culturale che modificherà le nostre interazioni sociali e i nostri parametri di giudizio.
Se di ogni nostra affermazione rimane memoria, se la nostra identità diventa pubblica, se impersonare identità virtuali (se non false – furti di identità) diventa pane quotidiano allora dovrà cambiare anche il nostro modo di interpretare e giudicare la realtà.
Comprendo il disappunto di chi, oggi, ritenga di non potere essere giudicato per frammenti della sua identità virtuale, decontestualizzati, scomposti e ricomposti. Ma, al tempo stesso, mi domando chi sia in grado di riuscire a giudicare oggettivamente una persona senza farsi influenzare in alcun modo da informazioni o notizie che la riguardano, vere, parziali o false che siano.
In attesa di questa presupposta evoluzione culturale, più che il consiglio del garante della Privacy di “autocensurarci”, certamente condivido il parere di gattonero in cui dice che sapere di potere essere spiati deve accrescere la consapevolezza dell’esprimersi. E xlthlx quando scrive “La consapevolezza non è necessariamente autocensura: è una opportunità.”
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Anche gattonero scrive cose interessanti sull’argomento. Ma le lascio trovare a chi vuole sapere di più di lui, veramente.
3 Commenti
“associando quindi i moderni strumenti di interazione sociale a qualsiasi precedente forma di rappresentazione scritta. Niente di nuovo quindi dai social network? Non sono d’accordo” la reperibilità di ciò che si comunica in rete la prendevo per scontata, un blog non è paragonabile a un diario segreto e per ovvi motivi. il punto su cui scrivevo era cosa fai vedere di te e cosa no tramite il mezzo scrittura. mi sembra che si stia scoprendo l’acqua calda: quello che scrivi sul web verrà letto dal mondo. e grazie al cazzo 😀
Se continua così, la keyword più rilevante di questo post sarà “cazzo”.
Nella società digitale l’io con cui eravamo abituati a lavorare si frammenta, vivendo una molteplicità del sé, delle multipersonalità, delle identità mutevoli.
Nella Websfera domina la comunicazione comunque e ovunque, con qualsiasi media: tutto va sperimentato condividendo esperienze ( social networking), relazioni in gruppi reali o virtuali di breve durata, o creati per l’occasione.Si vivono così mutevoli forme di coscienza, il digit-IO proteiforme, flessibile, capace di adattarsi continuamente alle nuove circostanze, trasformandosi in forme di mimetismi buoni per l’occasione.
La sola autorità ammessa è l’Io, a sua volta mandata in frantumi dalla cultura dell’anonimato online.”Il continuo flusso informativo è un vortice che cattura contenuti rigurgitandoli in laghi artificiali e giganteschi, ma stagnanti e stantii… La cultura della modernità liquida non è più una cultura dell’apprendimento e dell’accumulazione, è invece una cultura del disimpegno, della discontinuità e della dimenticanza… lo sciame inquieto del Web inondandoci di soundbites e immagini fagocita le discussioni e i pensieri reali” (Zygmunt Bauman ).
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