Pur condividendo l’entusiasmo di tanti miei colleghi per i nuovi strumenti di comunicazione e marketing che stanno emergendo, torno ogni tanto con i piedi per terra e mi accorgo di come la strada verso una vera innovazione sia ancora lunga.
Quando esco da questo microcosmo che sono i social network frequentati da giovani, innovatori del web, esperti di marketing non convenzionale tocco una realtà ben diversa dove anche grandi aziende faticano a modificare i propri processi comunicativi e le proprie relazioni con il cliente.
Il catalogo cartaceo
Primo caso: ho ricevuto qualche settimana fa un corposo catalogo cartaceo da un fornitore di materiale di rete e accessori per PC. Oltre 250 pagine, discreta rilegatura e qualità della carta, per oltre 4000 prodotti in gran parte corredati di foto e con prezzo riservato al rivenditore a fianco.
Il catalogo, come a me, deve essere stato inviato a migliaia di rivenditori in tutta Italia. I costi di produzione e distribuzione non devono essere indifferenti.
Esiste naturalmente anche il sito web, con funzionalità di commercio elettronico. Come potrebbe mancare? Trattandosi di commercio elettronico b2b (business-to-business) rivolto a rivenditori con partita IVA è necessaria la registrazione previo invio della visura camerale.
Una volta registrato ho continuato a ricevere anche una newsletter con le novità. Ottimo. In una email promozionale ho trovato il prodotto che mi interessava, sono entrato sul sito e ho scoperto che la mia username e password non funzionavano più in quanto non avevo acquistato nulla di recente da loro.
Ho richiesto la riattivazione che è avvenuta con contestuale comunicazione che la password sarebbe scaduta dopo 30 giorni ma sarebbe stata automaticamente rinnovata qualora avessi effettuato almeno 100 Euro di acquisti nei sei mesi precedenti alla scadenza.
Non ho acquistato, la password è nuovamente scaduta e io mi sono stancato di richiederla ogni volta che stia valutando un acquisto. Intanto il fornitore continua a mandarmi costosi cataloghi (con gli stessi dati presenti sul web) e newsletter per email che mi invitano a visitare il sito.
Il grande portale di distribuzione
Secondo caso. Stiamo parlando di una società quotata in borsa. Uno dei maggiori distributori italiani di materiale informatico e non solo.
Ha un sito completo, ricco di schede prodotto, strumenti di ricerca, comparatori, prezzi e disponibilità in tempo reale, tracking degli ordini. Insomma: ben fatto.
Ogni volta che un mio cliente mi ha chiesto di procurargli hardware o software per la sua azienda, mi sono rivolto a loro. Il mio core-business è altro, ma capita la necessità; anche per acquisti per il mio studio, visto i prezzi leggermente ridotti, da grossisti.
Negli ultimi tempi, si sa, le aziende ha stretto la cinghia e non ho fatto grandi acquisti. Torno di recente sul portale in quanto mi è stato richiesto un preventivo per 3 Personal Computer da ufficio. E poi per valutare se acquistare una nuova fotocamera digitale per me.
Scopro che non posso più consultare il sito in quanto non ho raggiunto il minimo di fatturato. E che devo contattare il mio commerciale di riferimento. In alternativa mi viene proposto di acquistare una carta a scalare per accedere ugualmente al sito con soli 0,6€ ad accesso!
Come dire che non vai più dal tuo macellaio di fiducia per 3 mesi e quando torni lui si rifiuta di farti entrare in bottega per vedere che pezzi ha sul banco. Ma, in alternativa, puoi pagare per entrare.
3 Commenti
Il processo di duepuntozerizzazione è molto lento. Ho trascorso la mattinata ad ascoltare le parole dello Iab forum e nessuno ha parlato di digital divide e lentezza delle infrastrutture. Se le aziende in Italia sono 0.2 è perché la diffusione della banda larga è ritardataria e non capillare. Telecom è sempre in posizione dominante e non esiste una vera concorrenza.
Tutto questo determina uno scarso utilizzo della rete e/o un approccio sbagliato (come il caso che hai segnalato sopra).
E il mio timore è che dovrà passare almeno un decennio prima di vedere cambiamenti corposi.
Jose, in parte il digital divide può rallentare il fenomeno ma il commercio elettronico è già una realta se andiamo a vedere con i numeri alla mano.
Ho clienti che erano convinti che l’e.commerce non facesse per loro e hanno dovuto ricredersi quando, dopo un piccolo investimento, hanno iniziato ad avere centinaia di richieste dal web. Naturalmente un buon posizionamento sui motori di ricerca ha aiutato, perchè esserci e non essere trovati non serve a nulla.
Telecom può avere delle colpe ma qui ritengo che i casi di fallimento (o comunque di sotto-impiego dello strumento) dipendano principalmente da una ‘cultura’ mancante. Una consapevolezza di come viene e di come potrebbe venire usato internet per fare business.
Invece è un ‘esserci per esserci’: tanto costa poco.
E’ vero che il digital divide ha il suo peso nell’avanzamento del web 2.0, ma il problema di fondo, nei casi citati da Matteo, è di diversa natura.
Molte aziende ancora non recepiscono correttamente le tecniche di marketing del web.
Per questo mettono limiti al loro commercio on line come se stessero operando nel sistema offline tradizionale.
Trovo davvero frustrante vedersi bloccato l’accesso ad un portale di e-commerce solo perchè non si sono effettuati acquisti da un po’ di tempo.
Facendo in questo modo si perdono sicuramente opportunità di vendita.
Come dice giustamente Matteo nessun commerciante con un po’ di buon senso impedirebbe a dei clienti di entrare nel suo negozio solo perchè negli ultimi mesi non hanno comprato niente da lui!
Se questo discorso vale nell’ambito ofline, perche in rete dovrebbe essere diverso?
In ogni modo trovo che esperienze come quelle raccontane in questo post, siano un indocatore chiaro di quanto lavoro ci sia ancora da fare per aiutare certi imprenditori, e ce ne sono ancora troppi, ad avere una corretta cultura di ciò che significa operare nel web.